<<...già il fatto che si chiamasse "Signore", mi dava un po' fastidio; penso si possa vivere bene anche senza religione, anzi, meglio! >> (Dino Risi)
Il 07 giugno di quest’anno, all’età di 91 anni, è venuto a mancare Dino Risi, regista e sceneggiatore italiano nato a Milano il 23 dicembre 1916.
Già controcorrente dalla nascita consegue una laurea in medicina, ma si sottrae alla volontà dei genitori che lo vorrebbero psichiatra e inizia a lavorare per il mondo del cinema (le primissime collaborazioni con Mario Soldati, Piccolo Mondo Antico 1940, e Alberto Lattuada, Giacomo l’idealista 1942).
E meno male, diciamo noi, perché ha così inizio la carriera di uno tra i più importanti registi italiani, uno tra quelli attenti ai cambiamenti del nostro paese e che ha messo in evidenza uno spaccato amaro, ma reale, della società italiana.
Qualche esempio? Il suo primo cortometraggio (Barboni, 1946) ha come soggetto la disoccupazione a Milano, proseguendo troviamo Buio in sala (1948), un corto girato in una Milano con ancora i segni e le macerie della guerra; dieci anni dopo viene Il Vedovo (1958), una satira di costume con una straordinaria Franca Valeri e l’Albertone nazionale; sulla scia come non citare Gaucho (1964) la squallida trasferta argentina di un gruppo di scalcagnati cineasti italiani.
Il cinema è per Risi “maestro di vita”, così lo definì lui stesso, ed è quindi inutile infiocchettare una realtà spiacevole perché non è così che la si cambia.
Risi, infatti, effettua una rivoluzione unica nella storia del cinema poiché priva la commedia privandola del lieto fine (vedi Una Vita Difficile, 1961). Definito "cinico" per questo, lui ribatteva "disincantato" perché l’Italia disegnata nei suoi film era una nazione abbagliata dal boom economico e desiderosa di cancellare il brutto e l’orribile che la guerra aveva lasciato. Un continuo tira e molla, possiamo dire, tra una generazione desiderosa di evadere e un Dino Risi determinato a riportarla con i piedi per terra.
Ma Dino Risi era anche divertente, a volte spietato, e dalla battuta sempre pronta e tagliente. Carlo Vanzina afferma che “per amore di battuta era capace anche di far piangere una persona” e questo la dice lunga sulla sua ironia. Silvio Orlando, che purtroppo non ha mai lavorato con lui, ricorda così un loro incontro: “Una volta in Francia, dove mi trovavo per ritirare un premio, sul palco mi chiese, guardando i miei pantaloni troppo lunghi: "Orlando, ma chi gliel’ha fatto l’orlo a quei pantaloni?"”. Vittorio Sgarbi, suo grande amico, si diverte pensando alla battuta di Risi su Nanni Moretti: “Nanni spostati e fammi vedere il film".
Anti-retorica, modesto e intelligente Dino Risi è saputo entrare con incisione nella società italiana, di ieri e di oggi. Caro al pubblico e amato dalla critica, riceve l'omaggio del Festival di Cannes, che nel 1993 gli dedica una retrospettiva delle sue quindici opere più significative; nel 2002 arriva il Leone d'Oro alla carriera e il 2 giugno del 2004, in occasione delle celebrazioni della Festa della Repubblica, il regista riceve dal presidente Carlo Azeglio Ciampi l'onorificenza di Cavaliere di Gran Croce.
Una soddisfazione questa per lui e per noi stanchi di vedere tanti grandi artisti apprezzati solo dopo la loro scomparsa. Chissà poi come commenterebbe ora l’arguto regista la sua dipartita visto che dichiarò: “La morte? Mi incuriosisce. Prevedo delle sorprese. La vita in fondo non è questa grande trovata...penso che bisognerebbe andarsene tutti a ottant'anni. Per legge….io, poi, mi sento come un inquilino abusivo. Sono rimasto senza amici. Erano tutti più giovani di me e se ne sono andati prima di me, Gassman, Fellini, Zapponi, Lapegna, Tognazzi, Mastroianni, Sordi, Manfredi. Non so più con chi parlare".
Queste parole serene ce lo fanno salutare con un sorriso, un arrivederci per lui e non un addio.
(Autobiografia, I miei mostri, 2004.)