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In ricordo di un grande: Michelangelo Antonioni - terza e ultima puntata Professione: reporter (1975):
soggetto:Mark Peploe sceneggiatura: sceneggiatura: M. Antonioni, Mark Peploe, Peter Wollen
fotografia: Luciano Tovoli
musica: Ivan Vandor
interpreti: Jack Nicholson, Maria Schneider, Jenny Runacre, Stephen Berkoff
Con “Professione: reporter” Antonioni realizza uno dei suoi maggiori capolavori: lo stesso regista ebbe a dichiarare che il film, se fosse stato montato inserendo tutte le sequenze previste, costituirebbe la sua migliore opera. Concepito anni prima, doveva intitolarsi “Tecnicamente dolce” e a produrlo sarebbe stato Carlo Ponti. Quest’ultimo, però, respinse il soggetto e ne accettò un altro da cui prese corpo “Blow up”. In “Professione: reporter” assistiamo ad un scambio di persona (e di personalità): David Locke (Jack Nicholson in una delle sue migliori interpretazioni), un reporter che sta realizzando un servizio nel Sahara, si sostituisce ad un uomo fisicamente simile che egli trova privo di vita nello stesso albergo in cui alloggia. Creduto morto inizia a vivere una nuova vita. Attraverso l’agenda di Robertson (questo il nome della persona cui si sostituisce) capisce che egli era un trafficante di armi: decide di andare agli appuntamenti fissati che lo porteranno in più paesi. Durante il tragitto incontrerà una ragazza che lo condurrà sino alla fine, in Spagna, dove, in un piccolo Motel, verrà assassinato. Questo sinteticamente il plot narrativo del film, scritto assieme a Mark Peploe (fratello di Clare People, compagna di Antonioni e futura regista) e che per la prima volta da “L’avventura” non reca la firma di Tonino Guerra. I punti di contatto con “Blow up” sono evidenti: anche qui abbiamo un uomo che riprende delle immagini che, alla fine, risultano differenti dalla realtà. Ma il Thomas di “Blow up” è differente dal David di “Professione: reporter”. Il primo è un artista che trasforma le immagini in foto (cioè delle opere artistiche); il secondo, invece, filma situazioni reali con uno scopo documentaristico. Purtroppo si renderà conto (e ci renderemo noi stesso conto attraverso i numerosi flash-back) che quello che egli riprende con la telecamera è finzione. Un esempio evidente si ha durante l’intervista filmata ad un Presidente di un imprecisato Stato africano: quello che egli dice di fronte alla telecamera non corrisponde a quello che realmente pensa. Se con “Blow up” l’attenzione del regista si era focalizzata essenzialmente sulle immagini, in “Professione: reporter” è la figura del protagonista assieme alle immagini che egli vede e ci fa vedere a costituire l’asse centrale dell’opera. David Locke costituisce pertanto una delle classiche figure Antonioniane: un perdente, sia sotto il profilo professionale che sentimentale (la moglie lo tradisce e pur credendo poco alla morte del marito non sembra interessarsene più di tanto) e che crede di cambiare vita cambiando identità. L’aspetto che possiamo definire filosofico del film viene tradotto in immagini di altissimo livello attraverso la consueta sapienza del regista ferrarese acquistando così non solo un “valore cinematografico” ma anche un “significato cinematografico”. Il ruolo del regista, in fondo, è simile a quello del reporter David Locke e cioè riprendere delle situazioni “finte”. Antonioni inoltre sperimenta nuove tecniche di regia tra cui quella in cui la telecamera ci mostra delle immagini viste con l’occhio del protagonista (visione soggettiva) per poi inquadrare il protagonista stesso (visione oggettiva). Stiamo parlando della penultima sequenza del film (dieci minuti circa di durata) dove vediamo David seduto sul letto guardare fuori dalla finestra: la telecamera si avvicina all’inferriata, la oltrepassa e viene agganciata ad una gru che la fa ruotare lentamente di 360 gradi riprendendo la stessa finestra da fuori e mostrandoci David morto. Al di là della maestria tecnica dimostrata da Antonioni con l’ausilio del direttore della fotografia Luciano Tovoli (che in “Tenebre” di Dario Argento si divertirà a giocare in modo simile con la telecamera) questa tecnica del passaggio dalla visione soggettiva a quella oggettiva denota una finezza registica difficile da eguagliare. Il valore del film, accompagnato anche dal successo di pubblico e di critica, non si è tradotto in quei riconoscimenti o premi che hanno quasi sempre ricevuto le opere di Antonioni. Ma forse questo non ha costituito motivo di rammarico per il grande regista. Identificazione di una donna (1982):
soggetto:M. Antonioni sceneggiatura: M. Antonioni, Gerard Brach, Tonino Guerra
fotografia: Carlo Di Palma
musica: John Fox
interpreti: Tomas Milian, Daniela Silverio, Christine Boisson, Marcel Bozzufi, Veronica Lazar
“Identificazione di una donna” costituisce un caso singolare nella filmografia di Antonioni. La critica si è spaccata in due dividendosi tra coloro che l’hanno giudicato un capolavoro e coloro che lo annoverano tra i (pochissimi) errori del regista. Diciamo subito che sotto il profilo artistico il film è notevole, mentre i dubbi si hanno sul contenuto del film che riassumiamo in poche righe.
Niccolò (un Tomas Milian che abbandona provvisoriamente i panni del poliziotto borgataro) è un regista affermato che casualmente incontra una donna misteriosa, Mavi, con la quale inizia una relazione. Qualcuno (e non sapremo mai chi) non gradirà e informerà Niccolò sui pericoli cui può incorrere. Dopo poco Mavi sparisce. Sempre casualmente (la trama potrebbe assomigliare a un film di Lelouch) Niccolò incontra un’altra donna, Ida. Anche con lei la relazione avrà breve vita: la lascerà una volta venuto a conoscenza che il figlio che aspetta lo ha avuto con un altro uomo. Nell’ultima sequenza Niccolò illustra il soggetto del suo prossimo film: un film di fantascienza.
Il fatto che il protagonista impersoni un regista avrebbe potuto far pensare ad un completamento del discorso sull’essere – apparire affrontato con “Blow up” e “Professione: reporter”, ma non è così: infatti non vediamo quasi mai il regista all’opera. Siamo di fronte a una nuova analisi di un ennesimo fallimento. Niccolò sembrerebbe essere un uomo riuscito dal punto di vista professionale (anche se sappiamo poco o nulla delle sue opere) ma disordinato nella vita sentimentale. È divorziato e non riesce a creare un rapporto stabile con le due donne che incontra. La prima lo accusa di non sapere amare ed è consapevole che la loro è una relazione provvisoria. Lui addirittura le risponde con un “come sei lucida!”. Ida, a differenza di Mavi, è una donna più sicura e stabile. Anche con lei ne uscirà sconfitto.
“Identificazione di una donna” è, assieme a “La notte”, il film più dialogato di Antonioni. Quei dialoghi praticamente assenti sia in “Blow up “ che (soprattutto) in “Professione: reporter” tornano dominanti in questo film ma, a differenza de “La notte” (in cui costituivano uno dei maggiori punti di forza), qui risultano essere l’elemento più zoppicante se non fastidioso del film (il culmine tuttavia lo raggiungerà con “Al di là delle nuvole”). Che Antonioni volutamente abbia scritto dei dialoghi di tal genere per esaltare l’aspetto assurdo se non addirittura surreale del film è possibile (complici di questa operazione sono Tonino Guerra e Gerard Brach, sceneggiatore abituale di Polanski e di Annaud) ma non si può restare indifferenti a dialoghi del tipo: “Sai cosa faceva Dio prima della creazione del mondo?” oppure: “Tu sei la mia festa, la mia cocaina, sei tutto, ma non sei il mio ordine” A peggiorare il tutto poi il fatto che tali dialoghi vengono pronunciati da attori non a proprio agio. Tomas Milian (che resta comunque un attore di serie A) è fuori parte. Di Daniela Silverio (Mavi) possiamo apprezzarne (solo) il fascino. Una piccola parte al francese Marcel Bozzuffi (una delle sue ultime interpretazioni) che abbiamo apprezzato in ruoli di poliziotto o delinquente e che qui impersona (sembra) uno sceneggiatore. Forse il personaggio meglio riuscito è quello di Ida, affidato alla convincente interpretazione di Christine Boisson. Ma i dialoghi sconcertanti e l’interpretazione al di sotto della media non riescono tuttavia a non farci apprezzare anche questo film che, ancora una volta, possiede una forza visiva straordinaria. Pensiamo alle prime sequenze: Niccolò è appena rientrato a casa (Antonioni lo riprende con un’inquadratura dall’alto) dove il vento smuove le tende delle finestre aperte. Oppure al viaggio di notte su una strada isolata dove la nebbia non fa vedere quasi nulla. Infine le ultime scene ambientate sulla laguna di Venezia in inverno (la maestria del direttore della fotografia Carlo Di Palma è innegabile). “Identificazione di una donna” si distingue, inoltre, per l’aspetto tecnico. Se con “Professione: reporter” Antonioni aveva mandato in estasi i critici per la penultima sequenza (passaggio dalla visione soggettiva a quella oggettiva) qui assistiamo aduna “falsa soggettiva”: è la scena in cui il protagonista dalla finestra sembra osservare qualcosa che, dalla sequenza successiva, si direbbe essere la sua auto. L’avvicinarsi del protagonista stesso all’auto ci rivela, però, che non era questo l’oggetto che osservava e che quella che lo spettatore riteneva essere una visione soggettiva era in realtà una visione oggettiva.Da ricordare anche un’altra sequenza: l’auto di Niccolò parte ed esce fuori dall’inquadratura (la macchina da presa è immobile); nel frattempo cala il buio e rivediamo l’auto ricomparire dalla parte opposta. Particolarmente riuscita, inoltre, la scelta delle musiche. Il talento del grande regista resta confermato anche con “Identificazione di una donna”.
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