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Angel a cura di Edna Se col nome cerchiamo di affermarci, nei soprannomi c’è quanto gli altri vedono in noi, e ci somiglia più di qualsiasi altra cosa al mondo. Se al soprannome aggiungiamo qualche nota musicale, potremmo tingere di scuro occhi e capelli, coprirci di sabbia nel deserto, ma non sfuggire agli occhi chi ci cerca. Londra e Parigi nel 1937, il mondo sta cambiando come solo un tedesco trapiantato negli Usa sa raccontare; dell’aristocrazia elegante restano i vestiti da sera; di giorno la moglie di un diplomatico inglese veste già in tailleur, sebbene longuette. E proprio perché siamo in Inghilterra, tra le solide mura di una ricca casa con la servitù più british che si possa immaginare, più conservatrice dei propri padroni, il cambiamento non è traumatico. Francesi, russi, americani ed inglesi, of course, sempre in cima alla Storia, sono oggetto di facezie e caricature; ma è tutta la società, come dicevamo, a guardarsi intorno tra eventi grandi e repentini e a rispondere, ognuno a modo proprio. Ed anche l’adulterio non è un tabù, specie “per due persone intelligenti”. In un’ipotetica graduatoria di pregio delle scene, il testa a testa è degno di fotofish: i delicatissimi dialoghi (un assaggio per gli utenti di facebook: “Perché non avete scritto? Sapete che mi piace mantenermi in contatto con gli amici”/”per questo non l’ho fatto”. “Have you ever been a stranger in a stranger city?”/”Often”/“What did you do?”/“I cryed”), le sequenze senza parole (l’inquadratura che scorre lungo le finestre della maison parigina dell’aristocratica russa; la cornetta del telefono staccata mentre la melodia che scorre come un fiume dalle dita di Antony si fà prova tangibile per Frederick del tradimento), gli eventi fuori scena o dietro alla porta chiusa, segno distintivo di Lubitsch (il riconoscimento da parte di Antony dell’identità tra Angelo e Mary nel ritratto in casa Barker; l’addio tra Mary ed Antony). A voi la scelta, e la scoperta; non resterete delusi. “Marlene Dietrich si commuove!” potremmo esclamare, parafrasando lo slogan che lanciò il più famoso “Ninotchka”: “Garbo laughs!”. Per chi è rimasto alla Marlene Dietrich de “L’angelo azzurro” ecco un etereo, dolce e forte Angelo che svela espressioni inedite sul suo viso: indimenticabile. Non so voi, ma non sono mai riuscita a vedere Melvyne Douglas come un tombeur de femmes. Eppure, come in “Ninotschka” e come Maurice Chevalier ne “la Vedova allegra”, visto il film, non riuscirei a figurarmi interprete più adatto per quel ruolo. In punta di fioretto il dialogo tra i due contendenti su un vecchio amore comune ai tempi del militare; nel brindisi “alla Duchessa di Piombino!” Antony restituisce alla vecchia fiamma la nobiltà che la donna (con rimpianto) non aveva mai potuto vantare. L’inglese Barker tributa l’affetto, ma brinda semplicemente “a Paulette!”. Herbert Marshall è un uomo brillante, non affascinante come il rivale, ma “trascinante come un vecchio valzer” che appartiene “come un segreto solo a due persone”; un attore giustamente caro al regista, già nel cast del famoso “troubles in Paradise”, in Italia “mancia competente”. Ma sto anticipando troppe cose, … no, non merita di essere“spiegato”, tantomeno da me. Almeno una menzione fugace però su Edward Everett Horton, qui in versione british, ma inconfondibile ed impeccabile come in tutti i film di Lubitsch. Insomma, what are you waiting for?
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