Partirono per suonare. E furono… integrati! All’aeroporto di Tel Aviv, la banda musicale della polizia di Alessandria d'Egitto si ritrova sola, sperduta, senza nessuno che si prenda cura di loro. Un po’ impaurita, forse, dal fatto di trovarsi in territorio “nemico”; ma soprattutto con un grande senso di straniamento.
Il mondo circostante li guarda con curiosità mista ad indifferenza, piuttosto che con rancore. Il fiero direttore d'orchestra e colonnello Tewfiq decide allora di raggiungere il luogo del concerto con un autobus locale. Arrivato nello sperduto paesino, però, trova ancora una sorpresa: sbagliando a pronunciare il nome, hanno sbagliato anche destinazione.
Bloccati nella desertica Bet Hatikva sino al giorno successivo, accettano l'ospitalità di Dina, la bella e disincantata proprietaria dell'unico ristorante del posto. La notte sarà una notte di incontri. E la diversità rivelerà a ciascuno, non senza amarezza, ma mai con violenza, la propria identità: sino a quel momento nascosta, sommersa, soffocata.
È un sorriso lieve e delicato, venato da un fondo di malinconia, quello che circonda le luci al neon di un paesaggio forse squallido, e tuttavia reso profondo ed intenso dalle vite delle persone. Lingue diverse, uomini e donne, giovani ed anziani. Sono tante le distanze apparentemente insormontabili che attraversano i protagonisti. Ma la musica, come l’amore, è un linguaggio universale. L’umanità “né triste, né allegra”, nella sua nudità, accomuna più di ogni barriere. Parlarsi, forse anche solo con i gesti, o con gli sguardi, per quanto possa talvolta essere fonte di incomprensioni, o apre ferite dolorose, tuttavia avvicina sempre l’uomo all’uomo: ciascuno anche a sé stesso.
È un passo decisivo verso l’immedesimazione.