Leonard Zelig (Woody Allen) è un personaggio immaginario di cui il film, alla stregua
di un documentario, ne segue le curiose vicende negli anni tra le due guerre
mondiali. La sua particolarità consiste nell’assumere non solo il
comportamento, ma anche l’aspetto delle persone che lo circondano. Incontrerà
una psicanalista (Mia Farrow) di cui si innamora.
Questa
in sintesi la trama dell’undicesimo film di Allen: una delle sue opere più
originali e meglio riuscite in cui il regista si diverte a ricostruire la falsa
storia di un falso personaggio. Falso nella doppia accezione sia di persona
inesistente che priva di personalità. La sua capacità di imitare gli altri e di
immedesimarsi in loro in fondo non è altro che una specchio della nostra
società passata, presente e (scusate il pessimismo) futura in cui forte è la
tendenza ad identificarsi con qualcuno o qualcosa.
Girato
in bianco e nero e a colori (ottima come sempre la fotografia di Gordon
Willis), “Zelig” costituisce una sintesi della filosofia alleniana e si
segnala per le numerose citazioni cinematografiche a cominciare da “Quarto
potere” di Orson Welles.