
Appaloosa e’ una piccolissima “citta” sperduta nel West selvaggio, dominata dalla prepotenza di Bragg (un credibilissimo “cattivo” interpretato da
Jeremy Irons). I notabili della citta’ chiamano due professionisti per riportare l’ordine. Il tema e’ quello solito del western, ma lo svolgimento e’ di prim’ordine!
Richard Harris, regista ed interprete del pistolero Virgin Cole, riesce a realizzare un film che ricorda le atmosfere del bellissimo “Terra di Confine” (Out Range) di Kevin Costner, uscito nel 2003. Purtroppo il western e’ un genere dimenticato e, in 5 anni, e’ riuscito a regalarci solo due altri film di grande livello: il remake di “Quel Treno per Yuma” e questo “Appaloosa”, tratto dal romanzo omonimo di Robert Parker.
Le atmosfere del western sono riprodotte con grande verismo e fanno rivivere quell’epoca in cui i buoni si confondevano con i cattivi e la morale era spesso determinata dal bisogno piu’ che dai principi. Virgin Cole e’ un uomo con due soli obbiettivi: dire sempre la verita’, costi quello che costi, e far rispettare la legge, una perfetta macchina da guerra che pero’ rivelera’ un’inaspettata vulnerabilita’; il suo compagno di tante avventure, Everett Hitch (Viggo Mortensen) usa solo una doppietta calibro 8 mm: freddo e preciso, e’ un vero amico di Virgin, che sa di poter contare su di lui come su un fratello.
L’ambientazione e’ perfetta (certe inquadrature sembrano foto dei giornali d’epoca), il ritmo, tipico del western, passa dal meditativo all’azione mozzafiato e le vicende dei due protagonisti si intrecciano con quelle di una donna un po’ “disinvolta”, Allison French (Renee Zellweger) che, rimasta senza marito, ha il terrore di rimanere sola e quindi si appoggia all’uomo che le sembra essere il piu’ forte, decisa a insediarsi in una dimensione casalinga per cucinare, suonare il piano e vivere una vita che, nel West ed a quei tempi, rappresentava il massimo per una donna.
Un bel soggetto, ambientazione perfetta, una regia asciutta e due protagonisti straordinari danno vita ad un film che e’ un esempio di come si puo’ fare dell’ottimo cinema senza dover per forza rincorrere le attuali “mode” hollywoodiane che, da un po’ di tempo, stanno portando all’Oscar solo il genere “drammatico-problematico”: i produttori lo sanno e si regolano di conseguenza, la critica ormai osanna solo i soggetti "difficili" e quindi i film di questo tipo scarseggiano, e lo stesso accade per i bei film d’avventura di una volta o per le commedie intelligenti: da quanto tempo non si vede un film come “Qualcosa e’ cambiato”?
Forse sarebbe meglio se gli accademici di Los Angeles nominassero per l’Oscar anche categorie diverse di film, ricordando quello che la vecchia Hollywood ha significato per tutti noi ed i sogni ad occhi aperti che ci ha fatto vivere…