Valzer con Bashir è un grande, grandissimo, film. È un film necessario, perché riportando alla memoria le stragi di Sabra e Chatila, ad opera delle Falangi cristiano maronite, ci obbliga ad adontarci dinanzi alla brutalità dell’essere umano, alla sua bieca e cieca e ottusa violenza. È un film originale, perché è un docu-cartoon, ma anche un film su una storia che diviene Storia, sulla paura e sulla necessità di ricordare, sulla memoria e sul sogno, sulla realtà e sull’incubo, che si mischiano, come colori su una tavolozza, come note in una sinfonia, come le onde del mare, che ti avvolge e ti salva, ammantato nella notte illuminata soltanto da luci presaghe di sventura.
Ari Folman sceneggia e dirige un’opera acclamata giustamente a Cannes e candidata come miglior film straniero ai prossimi Oscar, forte del Golden Globe per il miglior film straniero. Riesce a catturare lo spettatore con immagini a volte oniriche e stranianti, a volte vivide e forti, ma mai banali o scontate. Resterà memorabile la scena del valzer del soldato che imbraccia il mitragliatore contro i cecchini, ma anche la bellezza dei paesaggi contrapposta all’orrore della guerra, che un po’ richiama “La sottile linea rossa”. E l’alienazione dei soldati, che tanto somiglia a quella dei soldati di “Nella valle di Elah” è l’unica fuga possibile, dinanzi all’orrore della guerra, quello stesso orrore di cui parlava Kurtz, in “Apocalypse now”, quello stesso orrore che danza macabro nelle immagini che ogni sera illuminano i nostri televisori, costringendoci a quella ipocrita indignazione borghese che si consuma assieme a quella cena calda che ci aspetta in cucina. La rimozione diviene sopravvivenza, la contaminazione dei ricordi è un istinto. Ma ad un tratto la memoria ritorna e ti colpisce, violenta come un cazzotto all’addome, come uno schiaffo in piena faccia, che lascia il segno sulla pelle e nell’anima. E dopo aver visto il finale di questo film, non sarà più possibile dimenticare, far finta di non aver visto e scusarsi, dicendo:”Io non c’ero”.