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Gran Torino

(di Foster Kane)
 

Clint Eastwood continua a sorprenderci sia come regista che come attore e, seppure non raggiunge i livelli de “I ponti di Madison Country” o di “Million dollar baby”, anche questo “Gran Torino” si viene a collocare tra le sue opere più riuscite. A onore del vero Eastwood negli ultimi anni non ha commesso errori e ogni suo film, per un motivo o un altro, ha costituito una riuscita.

La storia di “Gran Torino” si focalizza essenzialmente sul suo personaggio: un uomo restato da poco vedovo, con un figlio sposato e con famiglia, e probabilmente destinato a lasciare da lì a poco la faccia della terra (i medici gli hanno riscontrato condizioni di salute poco felici). Con una famiglia di immigrati asiatici che gli abita nella villa a fianco vi è un vero e proprio dissidio che si acutizza nel momento in cui scopre che il più giovane ha tentato di sottrargli la sua amatissima auto d’epoca (la “Gran Torino”). Ma in seguito i rapporti tendono sempre più ad ammorbidirsi e nei confronti del ragazzo verrà a crearsi un affetto quasi protettivo. Da uomo duro, spietato e insensibile che sembrava, il protagonista viene invece a rivelarsi come una persona dal cuore d’oro che non riesce a tollerare le angherie e poi le orribili violenze che il ragazzo e la sua famiglia subiscono per mano di una gang di giovani violenti. A questo punto lo spettatore, memore dei precedenti dell’Ispettore Callaghan, non può che aspettarsi una sua vendetta a colpi di pistola. Ma il finale è tutt’altro che scontato. L’uomo, ormai consapevole di essere giunto alla fine dei suoi giorni, deciderà di sacrificarsi e far sì che i ragazzi della gang vengano affidati alla giustizia.

Una triste conclusione che è ormai un tratto distintivo di tutte le opere di questo grande autore statunitense, nato come attore e reso famoso prima grazie ai film di Sergio Leone e poi attraverso la figura dell’Ispettore Callaghan. Ma già il suo primo lungometraggio, “Brivido caldo”, fu una rivelazione e già qui vi era un finale ben poco allegro. Indubbiamente il valore dei suoi film e soprattutto il loro carattere cupo e funereo molto devono alle capacità non tanto recitative quanto espressive di quest’uomo dal volto di marmo, figura di attore rara se non unica del cinema internazionale.

 
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(di Edna)
 

Giusto una citazione a braccio: -“lui non ha un esempio da seguire” -“io non ho niente per cui essere imitato” -“ma tu sei americano”. Peccato che nel film non ci siano pellerossa, nativi o altro; gli unici irlandesi sono un giovanissimo prete e una comparsa, che non partecipano al dialogo citato. Ci vuole invece una giovane cinese in gamba a far sì che Kowalski riprenda in mano il “suo” paese. Un altro american dream, neorealista ed epico; se fosse ancora possibile sprofondare nelle poltrone e ricominciare da capo, non ci muoveremmo dal nostro posto in sala, per un bel pezzo.
Anonima cittadina del Michigan, nessun oceano da surfare, nessuna tecnologia da sciorinare, nessuna meraviglia unica della natura nella quale identificarsi; per i meno abbienti ma anche per la middle class. Quel che resta oltre i semplici interni e i piccoli squarci di viuzze squallide è un bel lungolago e una bellissima canzone che mastica qua e là “gran torino” in improbabili rime con l’american english. E Clint; l’unica America profondamente tradizionale alla quale non rinunceremmo mai.

 
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(di Technino)
 

Walt Kowalski (Clint Eastwood) ha perso la moglie ed assiste al funerale notando con rabbia che la presenza dei figli con le relative famiglie, assolutamente indifferenti al suo dolore, non gli è di alcun conforto.

Kowalski e’ figlio di un’altra America, quella degli anni ’50 in cui tutto sembrava piu’ facile, il bene ed il male erano divisi in maniera manichea e le scelte di vita di conseguenza erano, in apparenza, piu’ semplici. E’ un veterano della guerra in Corea e non sopporta di avere, nell'abitazione a fianco, una famiglia di asiatici “Hmong”, un’etnia perseguitata fin dagli anni ’60 e ’70, quando il governo USA li ingaggiò  per combattere il partito comunista al potere nel Laos: dopo la vittoria dei comunisti, l'esercito laotiano ha continuato per decenni a perseguitare atrocemente anche i figli ed i nipoti degli ex-alleati USA, che in piccola parte sono riusciti a trovare rifugio nel paese che, dopo averli sfruttati, li aveva abbandonati al loro destino. 

Le uniche passioni di Kowalski, oltre alla birra, sono il suo cane e un'auto Ford modello “Gran Torino” che tiene come un gioiello, forse perche’ gli ricorda un periodo della sua vita di cui e’ orgoglioso, in cui lavorava alla catena di montaggio della Ford. La sua vita cambia il giorno in cui il giovane vicino Thao, un ragazzo introverso e sensibile, viene spinto con la forza da una gang capeggiata dal cugino ad introdursi nel garage in cui si trova la Gran Torino per cercare di rubarla: Walt lo fa fuggire ma l’escalation di violenza che si scatenera’ di li a poco lo fara’ intervenire in difesa di Thao e di sua sorella Sue, realizzando di avere molti piu’ punti di contatto con la famiglia dei suoi “odiati” vicini Hmong che con la sua famiglia di figli e nipoti, che pensano solo a come sfilargli la casa e la sua amata auto. 

Clint Eastwood e’ un regista ed un attore straordinario. In questo film ci fa immergere nel privato di un uomo che ha fatto dell'astio nei confronti dei diversi da sé la sua ragione di vita. Il suo Kowalski è brutale, in maniera così rozza che nessuno fa quasi più caso alle sue offese di stampo razzista. Ma malgrado le apparenze Walt e’ una persona sensibile, con un animo torturato dalle atrocita’ commesse in guerra, e saranno i giovani 'diversi' (Thao e sua sorella Sue) ad aprire una breccia nelle sue difese. Hanno l'età dei detestati nipoti ma, a differenza di loro, hanno saputo conservare quei valori che l'Occidente ha dimenticato. Il rapporto col giovane Tao finisce per rappresentare una nuova occasione per Walt, la possibilità di mettere alla prova la sua umanità e di rivivere un affetto quasi paterno, che fungerà da surrogato per il rapporto perduto con figli e nipoti ormai lontanissimi.

La regia di Eastwood e’, come sempre, perfetta: asciutta e veloce, carica come una molla l’emozione degli spettatori nella prima parte del racconto, facendola scattare nella seconda: il film, che per il tipo di soggetto avrebbe potuto essere lento, ti lascia incollato sulla sedia fino all’ultimo, con  un finale che ne e’ uno dei punti di forza, geniale nella sua semplicita’. 

Un film che non dimenticherete facilmente.   

 
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(di Antonegò)
 

Clint Eastwood non sbaglia un film da “Gli spietati” e i suoi occhi di ghiaccio, con l’età non si sono certo appannati. Gran Torino è un bellissmo film che va visto e apprezzato in tutte le sue sfumature, sino al finale epico, splendido, geniale, da brividi.

Walt Kowalski, burbero e razzista reduce della guerra di Corea, che, dopo la morte della moglie, resta solo, in un quartiere popolato da minoranze (ma, negli Stati Uniti, ci si comincia a chiedere quali siano le maggioranze…!) è costretto a rivedere i suoi pregiudizi, ma non i forti valori morali su cui ha fondato tutta la sua vita, perdendo magari il contatto coi figli, ma restando sempre coerente a se stesso. Eastwood è perfetto, nella regia, ben dosata e calibrata, mai sciatta e pleonastica, nei suoi 118 minuti di durata che scorrono piacevoli, senza sbavature. Ed è perfetto come attore, con quello sguardo alla Callaghan che ci mancava tanto e quell’aria dura che ti fa venire voglia di non farlo incazzare (o, meglio, che siano gli altri a farlo incazzare!).

Con una storia in apparenza semplice, Eastwood filma l’anima di una nazione da sempre fondata sul melting pot e da sempre in lotta con se stessa, con le sue miriadi di anime in conflitto, in cerca di identità, smarrite e perdute. Descrive una società dolente e morente, ma, insieme, gioca con gli stereotipi razziali e sessisti, avvalorando quello che Bruce Lenny cercò di spiegare come comico e cioé che le parole non sono cattive di per se e non possono far male in quanto tali. Sono gli uomini e le loro azioni che fanno la differenza. Il film parla così di vita e di morte, di rapporti familiari autentici e rapporti familiari falsi, di fede e di coraggio, di crescita difficile e di solitudine e lo fa attraverso la storia di un uomo e della sua salvazione che coincide con la salvazione di altri uomini… Vi ricorda qualche cosa? Ma non voglio rovinarvi lo splendido, intenso e geniale finale che, sono sicuro, vi terrà incollati sulla vostra sedia, facendovi respirare quell’atmosfera di caro vecchio e grande cinema che la tradizione americana ci ha tramandato. E fermatevi ad ascoltare la stupenda canzone scritta da Jamie Cullum per il film.

 
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(del nostro lettore Edna)
 
ma la ford Gran Torino non è la stessa di Starskye Hutch?
 
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