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Ponyo sulla scogliera

(di L’Irriverente)
 

E’ una specie di magia… ogni volta che si assiste ad un film di Miyazaki si entra in un mondo straordinario, dove il fantastico sembra essere il “normale” e la realtà diventa “inconsueta”; un mondo a cui si vorrebbe appartenere, fatto di buon senso, rispetto, forza di volontà, lealtà.

Questa volta il Maestro non affronta tematiche belliche o adulte, ma conserva sempre elementi a lui cari: anche nella sua ultima opera, infatti, la natura è sull'orlo di rompere l’equilibrio che ha raggiunto con l’uomo e se lo fa… la sua forza non può che prendere il sopravvento.

Una pesciolina rossa dal volto umano finisce alla deriva e viene raccolta da un bambino che si prende cura di lei. I due si affezionano e quando lei ritorna nelle acque, ha un solo desiderio: diventare un essere umano per poter stare con il suo amico. Il desiderio non è, poi, così utopistico… Per rivedere Sosuke, la piccola Ponyo smuoverà concretamente mari e monti, forse più mari che monti, mossa da un’indiscussa forza di volontà e testardaggine.

La storia è semplice, lineare, composta di scene che lasciano a bocca aperta per la loro spettacolarità artistica e altre che toccano il cuore per la loro purezza.

Il giovane Sosuke ricorda molto il protagonista di una celebre serie tv dello stesso Miyazaki, Conan, datata 1978, sia nell’abbigliamento che nel comportamento in molte parti del film. Certo è incredibile come, paragonando i due lavori distanti trent’anni l’uno dall’altro, non si riscontrino differenze stilistiche!

Il tratto a volte sembra realizzato in acquarello, altre con il carboncino.
E’ risaputo che in questo lungometraggio non esiste un solo fotogramma realizzato con l’ausilio del computer. Anche in questo contesto, ciò che è “normale” per un’arte come il disegno e la pittura, ovvero che le ombre e le luci siano realizzate interamente a mano, appare come fuori dal comune.
L’opera, così realizzata, con i colori piatti, privi di tutti quegli artifici tecnologici, assume una connotazione da “libro di favole”, un libro da leggere ai bambini, ma decisamente anche ai grandi; sembra proprio di sfogliare un bellissimo libro, di quelli con le didascalie scritte a caratteri grandi e da cui, girando pagina, escono fuori le figure in rilievo dentro le quali, rimpiccioliti, immaginiamo di perderci...

 
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(di Antonegò)
 

Ancora una volta il Maestro Miyazaki ci fa tornare piccoli, con una fiaba semplice e colorata, protagonista una pesciolina rossa che viene salvata da un bambino di cui si innamora.

Dal punto di vista drammaturgico, quindi, accade ben poco, ma si resta affascinati dai paesaggi, dalle invenzioni visive, dalla semplicità dei personaggi, dalle case colorate. La grandezza del film sta poi nell’essere stato realizzato completamente a mano, da settanta artisti che hanno disegnato a mano ben centosettantamila disegni; e, in un’epoca in cui si vorrebbero digitalizzare anche gli attori in carne ed ossa, non è poco. Dal film emergono molte delle tematiche care a Miyazaki, l’amore totale per la natura, la bellezza dei paesaggi che suscita in chi guarda, stupore e meraviglia, ma anche rispetto per gli elementi naturali che, quando si scatenano, generano distruzione. E’ necessario, quindi, che l’uomo impari a capire che egli stesso è parte della natura che lo circonda e non un elemento avulso che può sfruttarla a piacimento, senza il minimo riguardo.

Altre tematiche care al Maestro sono l’importanza di affrontare gli ostacoli e i rischi che la vita ci pone innanzi, visti come passo fondamentale nel cammino di crescita individuale, la necessità dei rapporti umani, il rispetto per gli anziani. Insomma, come sempre, i film di Miyazaki partono dalla società nipponica in cui si ambientano, per giungere nelle lande senza bandiera dei valori universali che ci rendono tutti fratelli e amici, senza farci mai dimenticare il fanciullino interiore capace di sospendere l’incredulità.

 
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