E’ un’emozione difficilmente descrivibile per il sottoscritto dover parlare di Totoro, il film che diede il “logo” definitivo allo studio Ghibli di Miyazaki, tanta la sua importanza.
Tanto tempo è passato da quando, in una giornata piovosa del 1992, mi recai con un mio caro amico di liceo in una sottospecie di cine-club per vedere, interamente in lingua originale, la rarissima videocassetta arrivata fresca fresca dal Giappone ad una persona di mia conoscenza.
Erano i primi anni in cui l’animazione e i fumetti nipponici varcavano, per la prima volta attraverso i canali ufficiali, i confini italiani dopo il boom dei primi anni ’80 e dopo anni di assenza.
L’atmosfera era palpitante; i pochissimi presenti erano incuriositi e ansiosi di vedere quel capolavoro di cui avevano tanto sentito parlare. Ricordo ancora lo stupore nei nostri occhi e il senso di magia che pervadeva la sala; non capivamo nulla, ma le immagini parlavano da sole. Poi un pizzico di rabbia perché non comprendevamo i motivi che spingevano i nostri distributori a tenere lontane certe produzioni fantasmagoriche!
Potete immaginare ora, per me, cosa sia stato vedere finalmente al cinema quel film di cui conservavo un ricordo prezioso.
La prima impressione che ho avuto è stata notare che, benché arrivato nelle nostre sale con ben 21 anni di ritardo, “Il mio vicino Totoro” mantiene una freschezza e una tecnica che non si discosta minimamente da produzioni più recenti del Maestro Miyazaki; il merito sta senza dubbio nel suo creatore e nei i suoi fidi realizzatori che ci hanno da sempre abituati ad altissimi livelli produttivi, addirittura dalla fine degli anni ’60 !
La storia di Totoro è incentrata su due piccole sorelline, Satsuki (la maggiore) e Mei che, insieme al loro papà, si trasferiscono in una casa vicina all’ospedale dove è ricoverata la loro mamma. Durante il periodo trascorso in attesa che la donna guarisca, le due bambine prendono confidenza con la loro nuova abitazione, con i vicini e con il verde bosco intorno a loro esplorandolo in lungo e largo.
Ed è proprio giocando tra quegli altissimi alberi che si imbattono in una creatura enorme e sofficemente pelosa, lo spirito del bosco che loro chiamano Totoro prendendo spunto da un libro di fiabe. Affiancato da altre due creature uguali a lui, ma di dimensioni più piccole, Totoro diventerà amico delle due piccole e le aiuterà ad affrontare momenti di difficoltà attraverso voli pindarici nella fantasia.
Anche se la storia è semplicissima e lineare, risulta come sempre fantastico il modo in cui viene raccontata. Pregno di elementi “miyazakiani” come la famiglia e il rispetto per l’ambiente, il film è un tesoro di creatività e poesia: sarà difficile dimenticare scene come quella sotto la pioggia aspettando l’autobus e l’arrivo del “gatto-bus”.
La versione italiana ha goduto (miracolo!) anche di un ottimo adattamento, persino nelle sigle di testa e di coda, tradotte nella nostra lingua e che vi gireranno in testa per i prossimi mesi!
Unica nota negativa, se vogliamo definirla così, è il finale che interrompe la storia lasciando una voglia di Totoro incondizionata a tutti gli spettatori ansiosi di vederne un seguito, anche se sappiamo che dal 1988 non è mai stato pensato.
A chi soffrirà di astinenza posso solo segnalare di mettere da parte un gruzzoletto e recarsi immediatamente in Giappone al “Ghibli Museum” dove verrete ricoperti di peluche dell’animalone (speriamo ora li distribuiscano anche in Italia) e dove potrete fare amicizia con un vero Gatto-Bus!!
Il film è indirizzato esplicitamente ad un pubblico di bambini, ma non evita di mietere vittime anche tra gli adulti.
Naturalmente, però, come il grosso e simpatico spirito del bosco è visibile solo alle due sorelline che non hanno perso ancora la voglia di sognare e di credere, così il film può essere “visto” solo da tutti i puri di cuore.