Giuseppe Tornatore è forse uno dei più grandi e sottovalutati registi italiani. Certo, ha vinto l’Oscar per “Nuovo cinema paradiso”, ma non sembra, nonostante questo, godere della reputazione che merita. Ha al suo attivo piccoli grandi capolavori misconosciuti, come “Una pura formalità” e grandi kolossal bistrattati, come “La leggenda del pianista sull’oceano”. È un cantore sincero della Sicilia. “Baarìa”, pur non essendo certo un film perfetto, è un film vanto per tutte le maestranze italiane che lavorano nel cinema, dai caratteristi, ai costumisti, scenografi, truccatori etc.
Una storia epocale e corale, che segue il protagonista attraverso tre generazioni, come spesso il nostro cinema italiano ci ha abituato a vedere, dal ventennio fascista, sino agli anni ’80. Tre ore abbondanti di film che scorrono via senza pesare troppo, tra scivoloni retorici e immagini poetiche, con un cast siciliano all star magistralmente diretto da Tornatore.
Il regista ci trascina in una Italia che, dal dopoguerra ad oggi, sembra che non sia mutata. Sì, c’è più traffico, un benessere più diffuso, ma il nostro resta un paese provinciale, a conduzione familiare, abitato da un popolo bue, scaramantico e ignorante, che prima sperava nel tesoro nascosto e ora nel superenalotto (per lo meno prima, alla base, c’era una leggenda che si tramandava), manovrato da politicanti da strapazzo e mafiosi minacciosi, ma forse neanche un popolo. Sembra davvero che siamo rimasti fermi a D’Azeglio, che abbiamo forse fatto l’Italia; Ma gli italiani?
La Sicilia è uno specchio a tratti triste a tratti solare di una italianità a volte un po’ da cartolina (il che potrebbe giovare agli Oscar, dato che, per gli Americani, noi siamo rimasti quel popolo un po’ cialtrone liberato dal loro eroico intervento), a volte sin troppo vero e verace, sì che risulta difficile non immedesimarsi, non rivedere, magari i racconti dei nostri nonni, nelle vicende dei personaggi che si susseguono sullo schermo. E infatti Tornatore si è basato su racconti veri, come narrano le immagini documentaristiche che scorrono insieme ai titoli di coda.
Un film accorato che, pur nei suoi difetti, merita di essere visto e non meritava invece, la triste, squallida e superficiale pubblicità che l’ahimé nostro Premier gli ha tributato, interessato solo a estrapolare una frase, per mera propaganda anticomunista… Ma caliamo un velo pietoso e, godiamoci, invece, il film.