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A single man

(di Penelope Pit-Stop)
 
Film intenso, poetico, delicato, A Single Man è la storia di un amore amato, perduto ma sempre rispettato, e mai tradito.

Da quel momento terribile e inaspettato in cui si perde la persona amata, la vita non è che la ripetizione incolore di gesti meccanici, vuoti, faticosi e senza sapore.
Ma in una giornata si può passare dalla disperazione alla rinascita.
E si esce dala sala confortati soprattutto dal fatto che aprirsi di nuovo alla vita non significa tradire l'amore.

L'Inghilterra ci ha regalato un attore magnifico, Colin Firth regala l'ennesima magnifica interpretazione.
Questa storia ci ricorda che quando non dai valore ad una cosa, lasciarla non significa scegliere, ma solo fuggire.
E invece partire non deve mai essere una fuga.
Non si può lasciare la propria vita alle spalle finchè non ci si è riconciliati con la vita stessa. Solo allora non c'è più disperazione, ma salvezza e speranza.
 
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(di Antonegò)
 

Cosa c’è di più disperato di un dolore che non grida? Forse un amore non corrisposto, un amore che è finito o un amore che non è mai iniziato. Personaggi malinconici si aggirano e nascondono tra i fulgidi colori degli anni ’50 che stanno sfumando, ma ancora non hanno assunto i toni più sbiaditi, ma più sinceri degli anni ’70. La borghesia opulenta ha una facciata felice come una pubblicità del mulino bianco, ma quando si ritrova a specchiarsi, vede la velata tristezza di un quadro di Hopper e cela segreti indicibili, come si era già visto in “Lontano dal paradiso” ed inquietanti, come un film di Lynch.

Chi ha letto il romanzo omonimo di Christopher Isherwood, sa che uno dei temi del film è l’omosessualità, ma sarebbe riduttivo fermarsi così in superficie. Chi conosce Tom Ford, invece, resterà stupito dalla sua opera prima, un film senza sbavature, curato in ogni particolare, dai costumi, alle scenografie, alle immagini, alla fotografia e alla musica (di Shigeru Umebayashi, In the mood for love). Ford riesce a descrivere il dolore, riesce a descrivere una società, un tempo e un luogo, l’America dell’anno del Signore 1962, quando Cuba e i comunisti spaventavano americani di saldi principi, costringendoli a costruire rifugi antiatomici segreti, perché in caso di guerra, “non c’è spazio per troppi sentimenti”. Il professor Falconer non ci sta a vivere in un mondo senza sentimenti, in un mondo in cui la paura detta le scelte degli uomini e li costringe a interpretare ruoli perfetti, per mascherare la propria splendida umanità imperfetta. Il professor Falconer è un grandissimo Colin Firth, che si conferma attore in grado di essere il protagonista assoluto di un film, capace di emozionarci con uno sguardo, di dare voce a un intero mondo interiore di dolore, con il solo volto, come solo i grandi attori sanno fare. E così, Julianne Moore, è un’ottima spalla, la pennellata di un regista accurato che usa la cinepresa con maestria e ci fa dono di un film intenso e disarmante, come un tuffo nel mare, di notte.

Un film che ci insegna qualcosa sulla vita, sull’importanza di vivere il presente, perché il passato fa male e il futuro è solo il freddo bacio di una morte che arriva senza farsi annunciare.

 
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