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Shutter Island

(di Antonegò)
 

Basato sul romanzo del 2003 L'isola della paura (Shutter Island) di Dennis Lehane, non sembra un film del buon vecchio Martin Scorsese, questo, lontano anni luce dall’italoamericanismo che tanto lo rappresenta, che tanto ci ha dato e che spesso lo ha relegato ad esserne solo il cantore disperato e violento.

Il film è teso come la corda di un violino stradivari, sanguinante come corde vocali usurate da un canto disperato, ma capaci ancora di dar voce all’affabulazione dell’animo umano, ruvido come la corda che nel suo nodo scorsoio si prepara ad accogliere il collo di un condannato a morte.

Avvincente e a tratti onirico, il film di Scorsese ti prende per mano e ti trascina in mezzo alla tempesta, tra malati criminali psichiatrici, nell’incubo di un luogo simile all’Inferno, verso verità soffocate dall’oblio o dal suo desiderio.

La realtà è quella che è o è quella che sembra? E alla fine a chi spetta decidere?

Un cast di altissimo livello che vede, su tutti, il nuovo feticcio Di Caprio nei panni un po’ stropicciati di un detective demodé e stereotipato (ma attenzione ogni stereotipo trova giustificazione nel finale che sarebbe un delitto svelare, stavolta più ancora di altre), Ben Kingsley nei panni di uno psichiatra ambiguamente illuminato e il sempre sommo Max Von Sidow, rende assolutamente godibili quasi tre ore di thriller mozzafiato, per stomaci forti e palati fini.

E tra echi Lynchiani e ritmi hitchockiani, si giunge con vero gusto ad un finale degno di nota, un finale che sembra aperto, ma chiude mirabilmente quest’opera che nella immensa e spettacolare filmografia di Scorsese certo non sfigurerà.

 

 
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(di L’Irriverente)
 
Anni ’50. Due agenti federali vengono inviati in un istituto mentale, situato su un’isola da cui è impossibile fuggire, per indagare sulla misteriosa scomparsa di una paziente infanticida. Dopo le prime indagini, Teddy Daniels (Leonardo Di Caprio) sembra, però, spostare la sua attenzione sul direttore dell’istituto e sulle presunte losche attività che si svolgono in quel luogo lontano dalla terraferma. Per quale motivo l’agente Daniels è sull’isola?!

Scorsese tesse la trama di un thriller psicologico, da altri definito come romanzo gotico, con una maestria sospesa tra l’Hitchcock di “Io ti salverò”/“Marnie” e il Lynch di “Twin Peaks”. Ben lontano dalla suspense del suo “Cape Fear”, l’ultima fatica del regista italo-americano si avvicina più al recente “The Departed”: una storia dove, più si va avanti, meno certezze si hanno. E questo vale sia per i protagonisti delle vicende che per lo spettatore.
Ad un certo punto non ci si può fidare più di nessuno, è difficile distinguere chi sia nel giusto e chi dica il vero.
Come all’incirca recita una psicologa nel film: “se dicono che sei pazzo, qualunque tentativo per dimostrare il contrario viene interpretato diversamente”.
Ed è su questo sottile gioco di realtà differenti per ogni personaggio, sulla diversità dei punti di vista proposti e sulla fragilità psicologica del protagonista, che Scorsese ci conduce verso una spirale dalla quale è sempre più difficile uscire se non si ha una realtà con la quale aderire.
Come una scala a chiocciola sempre più stretta, che non a caso Di Caprio percorre in salita nel finale, si arriva ad un epilogo dove tutto sembra essere spiegato, ma che in realtà continua ad insinuare dubbi nello spettatore su quale sia la vera conclusione.
 
Avvertenze: il film è vietato ai minori di 14 anni;
quando si accenderanno le luci in sala, calerà il gelo…
Si può rimanere infastiditi o esaltati, come nel mio caso. Di sicuro…senza parole.

Ottimo Scorsese in grado ancora di mettersi in gioco e di inchiodare il pubblico alla sedia e ottimo Di Caprio.
 
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