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I gatti persiani

(di Antonegò)
 

Bahman Ghobadi, regista iraniano, già aiuto-regista di Kiarostami, famoso per il suo “Il tempo dei cavalli ubriachi”, Caméra d'or per la miglior opera prima e premio FIPRESCI a Cannes 2000, torna vincitore al festival francese con quest’opera vitale e originale (premio speciale della giuria del Certain Regard 2009).

Girato in soli 17 giorni, in Iran, e senza le autorizzazioni governative, il film si presenta come una serie di videoclip perfettamente inseriti nella storia di una coppia di giovani musicisti, interpretati dall’affascinante Negar Shaghaghi e da Ashkan Kooshanejad, i quali, usciti di prigione, tentano di mettere su un complesso rock-indie, attingendo dalla scena underground della capitale iraniana Teheran.

Il merito primario di questo film fresco ed energico è senz’altro quello di aprirci gli occhi su un mondo lontano, come una bella finestra sulla realtà musicale clandestina di un Paese in bilico tra fermento innovativo e teocrazia integralista e soffocante.

Non dimentichiamo che un altro famoso regista iraniano, Jafar Panahi, una delle voci più critiche di Ahmadinejad, è stato arrestato insieme alla figlia e a 15 ospiti, nella sua residenza di Teheran, lo scorso 3 marzo! Non dubitiamo, quindi, che lo stesso Ghobadi avrà dei seri problemi, dopo il successo internazionale di questo piccolo e coraggioso film.

Lungi dall’essere irritante, l’estetica da videoclip di questo film si prefigge lo scopo, riuscito, di farci conoscere il panorama rock – indie, rap persiano, metal, folk, immergendo questa musica nelle immagini di un Paese pieno di contraddizioni, ma culturalmente vivo e attivo, in cui il fermento artistico, sintomo di una comunicazione universale, ci mostra come la passione può far crescere un fiore persino nel deserto più ostico.

Con ilarità e leggerezza, ma anche con crudezza e vigore di immagini rubate alla realtà urbana, il film ci conduce verso un finale di cui non è lecito parlare, ma che, essendo piaciuto al sottoscritto, potete intuire di che tenore sia.

Resta una musica, forte, vera, sincera e la speranza ch’essa sia il linguaggio universale che, un giorno, tutti parleremo, in pace e libertà.

Colonna sonora da acquistare.

 
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