Sono cieco. I miei occhi, irrimediabilmente e irreparabilmente rapiti dalla scintillante, sfavillante, folgorante bravura und bellezza di una Juliette Binoche, meritatamente premiata con la palma d’oro a Cannes, a dispetto di ogni sospetto di sciovinismo francese.
Abbas Kiarostami, di cui ricordo piacevoli e folli nottate fuori orario trascorse a visionare i suoi film in iraniano sottotitolato (ma i sottotitoli, vi assicuro, erano assai pochi), mette in scena una sua idea che la leggenda sorta intorno al film vuole lasciare in quella zona d’ombra che separa realtà e finzione. Il film nasce come un divertissement intellettuale sul concetto di arte, di copia, di valenza dell’originale per svelarsi poi, come un’acuta e matura riflessione sulla crisi di coppia. E, si sa, sul tema “non è semplice essere semplici”. La ricerca della perfezione, il paragone con un presunto originale di bellezza, rende qualunque coppia, una copia conforme all’originale, un falso sbiadito e lacero che copre coi panni consunti di una finzione, l’essenza più profonda di qualunque nuda veritas con la quale appare arduo confrontarsi, ad ogni età.
Kiarostami, stavolta, riempie di parole i suoi famigerati e spesso temuti silenzi, scrivendo una sceneggiatura quasi perfetta, più vera del reale, coi suoi dialoghi banali, interrotti da lampi di vivida saggezza e pensieri la cui semplice profondità necessita senz’altro una seconda visione. Facile e fuorviante sarebbe scomodare Il Maestro Bergman che sul disfacimento di una coppia ha posto una pietra tombale in tutti i sensi, col suo splendido “Scene da un matrimonio”. Certo è che i protagonisti del film, lanciati a briglia sciolta da Kiarostami, nulla hanno da invidiare alla bravura dei feticci del regista svedese.
Insomma, un film da gustare piano, come un buon vino rosso, invecchiato al punto giusto, come gli scenari incredibilmente non banali di una Toscana spesso abusata cinematograficamente.
Ed alla fine poco importa domandarsi quanto sia reale la storia che abbiamo visto, perché ciò che davvero conta, alla fin fine, di ogni storia, sono i protagonisti che l’hanno interpretata.