Un film bello ed angosciante. Se avete tentato, di recente, il suicidio, un film altamente sconsigliato. Un film per stomaci forti e cuori che sanno indurirsi, alla bisogna. In apparenza l’ennesimo film deprimente su un futuro neanche troppo lontano, apocalittico e disperato. In realtà una sapiente riflessione sull’animo umano, sulla sua natura, sul concetto di sopravvivenza dell’uomo e dell’umanità, sul limite che separa l’essere uomo dall’essere animale, che indaga l’homo homini lupus, con lo sguardo microscopico di un preciso entomologo. L’orrore ha un volto, diceva il buon Kurtz; in questo caso, il volto emaciato di corpi mutilati, ammassati come masserizia negli antri più reconditi del nostro subconscio morboso, nella botola della nostra coscienza, quella coscienza che ci vantiamo di avere nel lusso dei nostri conforti, nel benessere di una società invero assai malata che cova un tumore oscuro, la cui scoperta segna solo la consapevolezza della fine. E l’orrore ha un volto ben peggiore di quanto siamo in grado di ammettere, se vediamo il film non come un film di fantascienza, ma come un’indagine sociologica, l’orrore è ben peggiore, quando ci rendiamo conto che certe scene, cui assistiamo con raccapriccio e nauseabondo disgusto, non sono poi così lontane dalla realtà presente che stiamo vivendo o abbiamo vissuto. I segnali erano chiari, dice un irriconoscibile Robert Duvall, ma non si poteva fare nulla per evitare che si compissero. E in un mondo in cui speri di avere degli incubi, perché finché hai gli incubi vuol dire che sei vivo, mentre quando inizi a sognare devi temere l’abbraccio suadente e ingannatore della morta, beh, in un mondo del genere, in un mondo degenere, non resta che combattere o soccombere.
L’America, poi, è lo scenario ideale in cui ambientare questo genere di film e Cormac McCarthy era già stato un abile e sapiente narratore di questa America in Non è un paese per vecchi, che in comune con questo film ha la glaciale e neutra visione del male.
Siamo dei parassiti. Siamo dei carnefici. E la nostra presenza su questo pianeta è assai discutibile.
Ma c’è un fuoco, un fuoco di speranza, un fuoco che appare una fiammella tremolante, pronta a spegnersi al primo vento, un fuoco che va protetto, perché è la scintilla di una umanità non del tutto persa, non del tutto perduta, un vuoto a rendere che, forse, merita di essere riempito nuovamente.
Viggo Mortensen, emaciato è dimagrito appositamente per il film è la pallida controfigura di Aragorn, ma la sua bravura è impressionante. Rispetto al libro, vengono aggiunti dei flashback tanto amari, quanto tragici, contrappunti efficaci affidati alla bellezza algida e nichilista di una Charlize Theron, fredda quasi quanto il freddo nella cui morsa si trova il mondo.
Forse sarà stato sbagliato il mio approccio al film, forse mi aspettavo qualcosa di diverso. Fatto sta che ho vissuto il film come in uno stato di malarica febbre e ho impiegato parecchi giorni a liberarmi da uno strano senso di angoscia, come una morsa costante che opprimeva la mia stessa esistenza, un’angoscia che nessun lieto fine potrà mai cancellare. Anche per questo, non posso fare a meno di sostenere, lucidamente, che il film è riuscito ed è riuscito a trasmettere non solo emozioni, ma altresì dubbi. Un film senz’altro da cineforum, un film giustamente vietato ai minori di 14 anni. Un film che risponde negativamente al primo principio di Tecnino (lo rivedresti?). Per lo meno, trascorreranno molti lustri, prima ch’io lo riveda. Ma questo, per l’Antonegò che scrive, non è certo un limite o una pecca dell’opera creativa.