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Porco rosso

(di Antonegò)
 

Ancora una volta la miopia della distribuzione italiana si appalesa in tutta la sua sontuosa idiozia e così accade che un’opera del Maestro Miyazaki del 1992 arrivi in Italia solo nel 2010 (meglio tardi che mai!).

Tra l’altro un film che è un inno d’amore all’Italia, un canto poetico che narra le gesta eroiche di un maiale aviatore, a cavallo tra la fine della prima guerra mondiale e gli inizi della seconda. E, poiché “un maiale che non vola resta solo un maiale” Marco Pagot, questo il nome del protagonista (in onore dei fratelli Pagot, creatori di Calimero), non smette di volare, neanche quando sembra che volare non abbia più senso.

Il film era nato come cortometraggio per una compagnia aerea giapponese, ma poi, Miyazaki non riuscì a contenere la sua prolifica fantasia nei limiti angusti di un corto e così prese vita questo lungometraggio che racchiude molte delle passioni dell’autore stesso. Non solo l’Italia, raffigurata in fascinosi e sognanti paesaggi d’epoca (tra l’Istria e Milano), ma anche l’aviazione (suo padre possedeva una fabbrica di componenti per aerei e lo stesso nome della sua casa di produzione, lo Studio Ghibli, si riferisce al bimotore Caproni Ca. 309 prodotto negli anni trenta dalla Caproni Aeronautica Bergamasca), con evoluzioni e battaglie aeree degne dei film di Howard Huges.

Hayao Miyazaki, ancora una volta, ci stupisce e ci ammalia col suo disegno a mani che nulla ha da invidiare alla moderna animazione computerizzata e non accusa minimamente il trascorrere del tempo e ci porta per mano in un’avventura in cui, tra pirati dell’aria, gare epocali e storie d’amore, prevalgono sempre i migliori sentimenti e i valori che rendono l’uomo grande e la vita degna di essere vissuta.

“I maiali sono creature che possono anche essere amate, ma mai rispettate. Sono sinonimo di cupidigia, obesità, depravazione. La parola stessa 'maiale' è usata come insulto. Non sono agnostico o roba del genere, ma non mi piacciono le società che ostentano la loro rettitudine morale. La rettitudine degli Stati Uniti, la rettitudine dell'Islam, la rettitudine della Cina, di questo o quel grup­po etnico, la rettitudine di Greenpeace, quella degli imprenditori... Tutti sostengono di essere nel loro pieno diritto, ma tutti cercano di costringere gli altri ad accondiscendere ai loro standard. Dominano gli altri attraverso un enorme potere militare, economico, politico o esercitando pressione sull'opi­nione pubblica. Anch'io ho alcune cose di cui sono sicuro e che credo siano giuste. E alcu­ne altre mi fanno arrabbiare. In realtà, sono una persona che si arrabbia molto più facilmente della maggior parte della gente, ma cerco sempre di partire dalla considerazione che gli esseri umani sono degli stupidi. Sono disgustato dalla nozione secondo cui l'uomo è l'ultimo essere, scelto da Dio. Ma credo che in questo mondo ci siano cose bellissime, che sono importanti e per cui vale la pena battersi. Ho fatto del mio eroe un maiale, perché era ciò che rispondeva al meglio a questi miei personali sentimenti”. Queste le parole di Miyazaki in un’intervista rilasciata a Takashi Oshiguchi. Ma è con le parole di Marco Pagot che concluderò la mia umile recensione, quando all’interno del cinema in cui viene proiettato un cartone animato dalle fattezze disneyane dice: “Meglio porco che fascista”!

 
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