Difficile trasportare al cinema un libro bello e disperato come quello di Kazuo Ishiguro. Il film di Mark Romanek riesce a coglierne l’essenza, non limitandosi ad una mera oleografia, come spesso succede, ma restituendone, invece, la forza, con immagini anche dure, ma mai gratuite e fini a se stesse.
Mille domande ti scorrono in testa, un turbinio di emozioni balena, come quando assisti ad una tempesta, dal caldo focolare domestico. Il cinema è una finestra, oltre la quale si scatenano le forze di una natura matrigna e spietata di cui noi siamo i degni figli.
Cosa ci differenzia dalle bestie? Cosa ci rende umani? La capacità di sognare? Ci sono cani che mugolano la notte; ti alzi e li guardi muoversi, come se corressero in un prato. Anche gli animali sognano. La capacità di amare, allora? Ci sono bestie capaci di dare amore e riceverne, molto più di alcune persone. Cosa ci rende differenti? Ciò che ci rende differenti è la capacità di creare, di immaginare, ciò che ci rende differenti è l’arte, la capacità di farla o, per lo meno, la capacità di apprezzarla. Ma non basta.
Chi non ama l’arte, chi non riesce ad emozionarsi quando assapora l’arte, è arido, vuoto. Ma non basta.
In un mondo che ha sconfitto la gran parte delle malattie grazie ai progressi scientifici, un mondo parallelo e futuribile, passato, ma distante, come solo un passato parallelo sa essere, ma in fondo, poi, non così distante, ebbene, in questo mondo, persone che non sono considerate tali, sperano, amano e credono che l’amore possa prorogare la loro fine misera e ineluttabile. Credono che l’amore possa essere il rimedio, quell’amore che tutti crediamo ci renda unici e diversi, per loro è l’unica speranza di essere uguali.
Ma uguali a chi? In un mondo in cui l’umanità è pervasa da indifferenza ed egoismo in un mondo in cui tutto è sostituibile a chi vogliamo somigliare? Cosa faremmo noi per la persona amata? Saremmo in grado di uccidere? L’amore, in questo mondo, per i protagonisti del film, è l’unico vero modo di donare se stessi, l’unica vera scelta, l’unico completamento, là dove il completamento non è dissimile dal concentramento, in quella landa desolata, ove il confine tra umanità e bestialità è sottile e fragile. Cosa ci rende migliori delle bestie? Cosa ci rende umani? Forse è il libero arbitrio, la possibilità di scegliere, quello spazio immenso che separa la nostra umanità dalla scelta della sua assenza. Ma anche questo non basta. Perché laddove il libero arbitrio viene meno, anche lì dove tutto è intercambiabile e sostituibile, in quello spazio angusto che ci sembrava immenso, ma è invece così piccino, lì dove il libero arbitrio ci viene tolto, ebbene, lì può ancora esserci l’umanità, quella fragile umanità che crede ingenuamente che l’amore possa salvarla.
Ma in un mondo in cui si arriva a pensare che l’amore possa essere dimostrato, quantificato, pesato, c’è ancora spazio per l’umanità? Qual è il diametro dell’amore? Quale l’ipotenusa? Io posso amare più di quanto sia amato, ma posso misurare, pesare, anche solo per sottrazione, l’amore, come in quella amena storiella in cui si pesava il fumo di una sigaretta, sottraendone il peso a quello della sua cenere?
E allora, ancora l’assillante quesito iniziale: cosa ci differenzia dalle bestie? Cosa ci rende umani? La capacità di soffrire, forse, la capacità di piangere, di provare emozioni, o quella voglia disperata di vivere, di attaccarci anche all’ultimo anelito, all’ultimo soffio, come fosse l’unico ricordo che abbiamo di una vita vissuta, di una persona amata o di qualcosa che abbiamo irrimediabilmente perduto e mai più troveremo? No, molti animali possono insegnarci tutto questo molto più di certi uomini. Il libero arbitrio certo, ci rende diversi, la scienza, la capacità di sfruttare le scoperte tecnologiche, per evolverci e dominare sulle altre specie, ci rende diversi. Ma tutto ciò, non sempre ci rende più umani.
E allora ciò che ci rende davvero diversi, davvero unici e non resta nient’altro che possa renderci davvero così unici e diversi è l’anima. Non resta che l’anima. Ma lì dove rinunciamo ad averne una, lì dove decidiamo di perderla, beh, non esiste possibilità alcuna di ritrovarla. Persino in un mondo che ha sconfitto i tumori e la sclerosi multipla, un mondo in cui ogni organo è rimpiazzabile, nessuno potrà mai trapiantare l’anima, quella scintilla di eternità che ci portiamo dentro, l’impronta indelebile di Dio che ci rende ciò che siamo, anche se non ci crediamo.
L’arte può essere lo specchio in cui riluce questa scintilla, ciò che è in grado di spiegare, senza sovrastrutture e menzogne, quello che abbiamo dentro, come dice giustamente Tommy.
Non lasciatevi sfuggire questo film e nemmeno il libro di Ishiguro. Perché anche un libro, anche un film hanno un’anima; quella dell’autore che li ha creati, ma anche quella del lettore e dello spettatore che hanno avuto la fortuna di sfiorarli.