Il
cacciatore di taglie dottor Schultz compra lo schiavo Django perché possa aiutarlo
a ritrovare tre fratelli fuorilegge su cui grava una ricca ricompensa. Durante
il viaggio tra i due nasce una sorta di amicizia e stima reciproca. Tra una
taglia e l’altra, il dottore viene a sapere da Django che la moglie è stata venduta
come lui al mercato degli schiavi. I due decidono di andare a riprenderla!
Un altro centro portato a segno da Tarantino, forse leggermente inferiore al precedente
“Bastardi senza gloria”, ma non per questo degno di minore attenzione. Coerente
col suo stile e i suoi precedenti lavori, dopo aver fatto suo il cinema
orientale in “Kill Bill”, stavolta attinge a piene mani dallo sconfinato
archivio degli spaghetti western, di moda negli anni 70 nel nostro Paese e di
cui è grande fan, rielaborandolo e lasciando la sua impronta. Il risultato è duplice:
regala al mondo un genere a molti sconosciuto e all’Italia un grande omaggio.
In entrambe i casi, un successo e un western visto con gli occhi di chi l’ha
sempre considerato come sinonimo di grande avventura e grandi duri con cui non
si può ragionare.
Moltissime le citazioni, sia nelle inquadrature che nelle musiche tratte dai
classici nostrani. La sigla d’apertura è la stessa del Django originale di
Corbucci, a cui si è ispirato, con Franco Nero (che appare in un divertente
cameo).
Un grande film diretto da un grande autore che in questo caso aggiunge anche la
passione del “fan boy”.