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Gomorra

(di Antonegò)
 

Di solito la speranza è l’ultima a morire, ma in questo caso la speranza è morta ammazzata, crivellata a colpi di beretta, per mano di uno spietato minorenne e sepolta insieme a rifiuti tossici, in un qualche campo della periferia di Mondragone. Non c’è traccia di speranza nel film di Matteo Garrone, rigoroso e necessario, quanto brutale e violento, una violenza che inizia nell’urbanistica squallida, per proseguire nelle condizioni di vita delle persone che abitano quei palazzi grigi e angusti e soffocanti e finisce in una qualche sparatoria, perché i disvalori su cui si basa quella società sono il potere rabbioso e il denaro sporco. L’Inferno è qui su questa terra, neanche troppo distante da noi e le periferie raffigurate con crudezza da Garrone rendono, al confronto, gli incubi di Bosch, popolati di terribili esseri antropomorfi che compiono le peggiori nefandezze, simili a un parco giochi Disneyland!

Con questo sesto film, tratto dal fortunato e sconvolgete omonimo romanzo di Roberto Saviano, che collabora anche alla sceneggiatura, Matteo Garrone si dimostra molto più che un talento del cinema italiano e la consacrazione di Cannes, dove ha vinto il Grand prix, ne è una dimostrazione. Il trionfo assieme al Divo, di Sorrentino, conferma inoltre la tradizione del nostro, che scuote gli spettatori e fa parlare di sé anche all’estero, quando è cinema di denuncia sociale e politica. Gomorra è quasi un documentario tragico e disperato, quasi il lamento dolente di un morente agonizzante, soffocato dal sangue e dallo squallore di una realtà in cui la morte appare quasi come una liberazione. In questa realtà grigia e dura in cui l’unico obiettivo pare essere la sopravvivenza, bambini cresciuti troppo in fretta, rinunciano alla loro innocenza per appartenere a una banda che possa dar loro importanza, adolescenti dissennati sognano di essere Scarface e la vita di un uomo vale qualche migliaio di euro. Non puoi opporti alla violenza, puoi solo vivere a margine, allontanarti e sperare che nessuno venga a urlarti in faccia che sei con lui o contro di lui, stravolgendo il messaggio evangelico di un Dio che pare non abitare quei luoghi disperati.

Questo non è un film sul cambiamento, ma è un film che, implicitamente, grida alla necessità del cambiamento, perché se lasciamo il Nostro Paese in mano a gente senza scrupoli che fa della violenza e dell’inganno il proprio stile di vita, allora lasceremo che vada in malora e, senza rendercene conto, ci troveremo in un nuovo, cupo, Medio Evo. E allora a nulla sarà valso essere stati spettatori indignati di questo spettacolo, a nulla varrà provare rabbia, seduti nella nostra comoda poltrona da multisala e non potremo invocare l’ignoranza o far finta di cadere dalle nuvole, perché il fango in cui ci troveremo sporcherà anche noi.

 
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