Siamo negli anni Trenta. Cecilia lavora come cameriera in un ristorante. Insoddisfatta sia dal punto di vista professionale che sentimentale (è sposata con un uomo apatico che non si cura minimamente di lei) trascorre i pomeriggi al cinema. Incantata dalla visione di un film, “La rosa purpurea del Cairo”, decide di vederlo più volte e durante una delle proiezioni il protagonista, Tom Baxter, esce dallo schermo e chiede a Cecilia di accompagnarlo a vedere il mondo reale. Nel frattempo a Gil Sheperd, l’attore che interpreta il personaggio di Tom, viene affidato il compito di risolvere il problema: il film, infatti, non può continuare ad essere proiettato senza Tom. In questo lo aiuterà Cecilia che involontariamente lo conduce dal suo personaggio. Tom non vuole rientrare nel film anche perché si è innamorato di Cecilia la quale, però, gli preferisce Gil in quanto essere reale. Tom ritorna nello schermo e Cecilia corre verso casa per preparare la valigia e partire con Gil per Hollywood. Ritornata al cinema viene a sapere che Gil è già partito. In preda alla delusione assiste alla proiezione di un film con Fred Astaire e Ginger Rogers: “Top hat”.
Presentato fuori concorso al Festival di Cannes del 1985, il tredicesimo film di Woody Allen (il secondo, dopo “Interiors”, in cui non figura come attore) costituisce sia uno dei suoi maggiori successi commerciali, sia una delle sue opere più riuscite. Sulla scia di quanto già fatto da altri suoi colleghi (si pensi a Fellini con “8 e mezzo” o a Truffaut con “Effetto notte”) Allen porta sullo schermo un notevole esempio di interazione tra cinema e realtà. Cecilia (ottimamente interpretata da Mia Farrow), delusa dall’ambiente che la circonda, non può che trovare un po’di soddisfazione nei film che vede dove vi è sempre il lieto fine. Lei stessa, però, si rende conto che la vita reale non può essere quella rappresentata dal cinema ed è per questo che alla fine all’uomo – personaggio preferisce l’uomo – attore. Già in altre occasioni Woody Allen aveva avuto modo di offrirci dei tocchi di cinefilia: è il caso di “Provaci ancora Sam” di Herbert Ross (da lui sceneggiato ed interpretato), di “Amore e guerra” (con i suoi richiami alla “Corazzata Potemkin” e a “Barry Lyndon”) e della sua ammirazione per Ingmar Bergman (citato in più di un suo film). Con “La rosa purpurea del Cairo”, però, Allen realizza in modo eccellente un’opera interamente dedicata al rapporto tra finzione e realtà. Un’autentica lezione di cinema impreziosita da una regia (come sempre) magistrale, dalla fotografia di Gordon Willis e da un gruppo di attori in stato di grazia.